Moda della pelliccia e degli accessori in pelliccia

Posted by on September 21, 2015 . 0 Comments.

A Parigi nel 1272 si contavano nella sola città ben 214 pellicciai e l’uso si andava estendendo gradatamente a tutte le classi sociali, cosicché perfino i poveri ricevevano pelli in elemosina, insieme al cibo indispensabile per sopravvivere. Nel 1127 viene interdetto alle monache l’uso di pellicce; fu un concilio a stabilirlo. Anche l’Italia visse quest’epoca d’oro della pelliccia; a Milano già nel Medio Evo si formò la “Corporazione dei Vairari e Pelizari” riservata ai commercianti e agli artigiani della pelliccia; per esservi ammessi era necessario sostenere alcune complesse prove tecno-pratiche. Intorno alla Corporazione si sviluppò l’abilità artigianale destinata a perfezionarsi ed arricchirsi nel tempo, e ruotarono interessi sempre più vasti, collegati al commercio delle pellicce. Benché statuti e regolamenti concedessero soltanto ai nobili, ai cavalieri e ai dottori il privilegio di portare guarnizioni di pelliccia, se ne impose l’uso come principale elemento di eleganza e di fasto.

In quell’epoca erano in voga specialmente l’ermellino, il vajo[1], lo zibellino e lo scoiattolo. A Firenze, le donne usavano portare ampi mantelli foderati di martora e di zibellino; (la nobildonna Caterina Pucci  vantava una gonnella in pelliccia di leone valutata quattro fiorini ed un’altra martora acquistata per ventiquattro fiorini; Bianca Maria Sforza Visconti andò sposa ad Alfonso d’Este portando in dote un ricchissimo guarda roba di pellicce)[2]. A Venezia il Doge e la Dogaressa erano gli arbitri dello sforzo cittadino: lui nelle cerimonie portava un manto d’oro foderato di pelliccia e un rocchetto di ermellino bianco; lei sognava una veste di broccato foderata di ermellino con un lunghissimo strascico. Tiziano Vecellio[3], ottimo cronachista oltre che pittore, scrisse cosi della moda veneziana di quei tempi: “intorno al principio di novembre i nobili si mettono la veste di ermellino che si porta sciolta e indossano quella foderata di pelli che si cinge con la cintura di velluto e che ha fibbie d’argento. Ma poiché quelle pelli sono assai leggere, quando si accresce il freddo si cambiano pelli e si mettono quelle più gravi e da tenere più caldo. Le dame sopra la camicia portano la corpetta, la quale è di broccatello e d’inverno si fodera di pelli preziose. In questo tempo d’inverno usano ancora una manizza foderata di pelli con la quale difendono le mani dal freddo”. Sempre in quell’epoca, è di gran moda il “pelliccione”, portato sia dagli uomini che dalle donne, che è in realtà una vera e propria pelliccia simile a quella moderna; per le donne è lunga fino al ginocchio, orlata di ermellino e di vajo, ha spesso maniche larghe e lunghissime, e munita di un cappuccio a gola e viene portata per cavalcare; per gli uomini è in genere attillata alla vita, si allarga ai fianchi in pieghe profonde; spesso è lunga fino ai piedi ed ha un ampio collo che circonda il viso come un calice; le pelli impiegate variano secondo le possibilità economiche, ma i tipi più diffusi sono la lince, la volpe o il leone.



[1] Il Vajo, piccolo animaletto simile allo scoiattolo, viveva nei Paesi Nordici e aveva il ventre bianco mentre il dorso era azzurro scuro. La pelle di questo animale, introdotta dagli araldi negli stemmi, veniva stesa e tagliata con una forma avente sette lati e, una volta cucite insieme più pelli, in modo alternato, si otteneva un'immagine simile a tanti bicchieri senza gambo, l'uno rovesciato rispetto all'altro, alternativamente di colore bianco e azzurro scuro.

[2] Archivio di Stato, Firenze, arte dei vaiai e pellicciai, poi vaiai e cuoiai.

[3] Nasce a Piève di Cadore circa nel 1421 nel borgo alpino che fa parte della repubblica Veneziana. In giovane età si reca a Venezia dove è allievo prima di Gentile e poi di Giovanni Bellini. Nel 1508 collabora con Giorgione nella decorazione del fondaco dei Tedeschi ed esiste un grazioso aneddoto su questo fatto. Alcune persone, credendole pitture di Giorgione, si congratularono con lui per la migliorata qualità della pittura.
Nel 1513 è invitato a Roma da papa Leone X, sarebbe l'occasione di lavorare fianco a fianco con Michelangelo e Raffaello ma preferisce rimanere a Venezia e lavorare per le istituzioni e le confraternite della città lagunare.

 

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